Affido condiviso, la voce dei figli

La legge n. 54/2006 ha trasformato l’affido “congiunto”, da eccezione, in regola, sotto la definizione di “affido condiviso”. Tale istituto riconosce alla progenie il diritto a mantenere rapporti continuativi e stabili con entrambi i genitori e i rispettivi rami familiari.

Dopo quasi 20 anni dalla sua promulgazione sappiamo che questa legge viene sostanzialmente disapplicata in molti casi senza reale motivo o fondamento, solo per impostazione ideologica.
Il fermento in certa classe politica in merito all’argomento mi lascia alquanto perplessa, soprattutto mi chiedo come si possa affermare che con questa legge si siano volute discriminare le madri. Impressionante l’impostazione adultocentrica di questo pensiero, mentre questa legge è volta soprattutto a tutelare il diritto del minore coinvolto nelle separazioni.

Sono un genitore separato e ho avuto modo di relazionarmi con molti genitori separati e figli di separati dal 2003 ad oggi.
I miei genitori hanno vissuto felicemente insieme e la nostra è stata una famiglia senza “strappi”, a fronte della mia esperienza e attraverso il racconto degli altri, ho voluto fare l’esercizio di immedesimarmi in un figlio.

Mi sono quindi chiesta, come figlia cosa se ne penso?

… Come figlia mi piacerebbe che i miei genitori andassero d’accordo, ma se si stanno separando è perché questo accordo è venuto a mancare.
Mi aspetto che in quanto adulti siano in grado di gestire le loro emozioni in modo da poter contenere le mie.
Che sappiano darmi delle spiegazioni in merito a quanto sta succedendo e non che parlino “sopra la mia testa” come se io fossi sorda e mi trovassi per caso a vivere la loro vicenda.
Che pensassero che io sono una persona che ha il diritto sacrosanto di crescere equilibrata e che un domani sarò una donna (o un uomo) che vorrà costruirsi una famiglia e che pertanto ho il diritto di sapere cosa vuol dire avere e costruire una famiglia.
Mi piacerebbe che capissero che sono una bambina o bambino, che ha diritto ad una educazione che m’insegni il valore della prospettiva delle situazioni e non del “senso unico”.
Desidero che la mia mamma non parlasse male del mio papà e che il mio papà non parlasse male della mia mamma, anche quando credono che io non li ascolto.
Vorrei che il mio papà, che si vuole prendere cura di me lo possa fare e non perché ci sono altri signori che non vogliono fare i papà anche a lui debba essere negata la possibilità, per colpa di quei signori io non posso avere uno dei miei genitori e questa è una ingiustizia nei MIEI confronti.
Io come bambina o bambino, posso adattarmi benissimo ad avere due case, due letti in cui dormire, due tavole su cui mangiare e fare i compiti, due armadi dove riporre i miei abiti, doppi giochi, doppi amici…
Sarebbe sufficiente che i miei genitori mi amassero non come una proprietà, ma come essere umano come individuo, io ho molte più risorse di loro perché so vedere anche nelle brutte situazioni il lato bello delle cose che ho è un peccato che loro siano diventati “grandi” e si siano dimenticati di questo.
Vorrei che quei signori che mi hanno detto si chiamano giudici e quelli che si chiamano avvocati e quelli che si chiamano in quel modo strano CTU e quelle altre, mi sembra che si dica assistenti sociali, la smettessero di parlare del bene del bambino quando poi vanno a scrivere che io non posso vedere il mio papà, o la mia mamma, oppure che se un giorno ho voglia di stare con uno di loro l’altro mi risponda “eh no vedi il giudice ha scritto così e tu devi fare così”.
Ma quello che davvero io voglio?
Quello che io davvero sento dentro?
Vorrei dire a tutti questi signori che pensano di fare il mio bene, che stanno solo facendo il mio male, che stanno facendo in modo che io cresca come se mi mancasse una parte, vorrei dire monco, a metà.
CHISSÀ, FORSE A QUALCUNO DI LORO FA COMODO. FORSE?
CERTAMENTE NON A ME!!!

Come anticipato in premessa non sono figlia di separati, ma frequento tanti figli di separati e li osservo e li ascolto, quanto ho scritto sopra è il frutto di discorsi che ho ascoltato da loro conversazioni. Proporrei a tutti di meditare sulle parole dei bambini.
Vorrei fare un’ultima considerazione che forse esula dal contesto sopra riportato ma che racchiude il mio pensiero, sappiamo bene che oggi essere madre ed essere padre è estremamente difficile, sono cambiati i ruoli genitoriali, è cambiato l’approccio alla società, infatti sempre più madri lavorano e sempre più padri si occupano di portare i figli a scuola, dal dottore, gli preparano da mangiare li curano quando sono ammalati.
Poi con la separazione questo equilibrio si spezza e il mondo del bambino viene stravolto, ciò che ieri era normale oggi diventa un diritto/dovere per il padre.

Quindi, la 54/06 ha cercato di stabilire un equilibrio, di stare al passo con i tempi che cambiano. Pare, però, che anche così non vada bene.

Intanto i bambini aspettano, nel frattempo crescono diventano uomini e donne e che famiglie costituiranno?

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